Gennaio 2020
In questo inizio anno 2020 mi è capitata fra le mani una mia relazione, dal titolo “Quindici anni di invii in mediazione familiare: successi, insuccessi, prospettive”, presentata al Convegno della Simef - Società Italiana di Mediazione Familiare tenutosi a Firenze nel maggio 2010.
Non sono passati neppure dieci anni ma quella famiglia che descrivevo allora, almeno per il diritto, oggi non esiste più.
A seguito della nuova interpretazione dell’assegno divorzile nella mente dell’interprete della legge, ormai, all’indomani del divorzio, si torna ad essere persone singole, completamente responsabili di se stesse, salvo fare i conti - perequativi e compensativi – per le rinunce fatte e le occasioni perdute in nome di quella famiglia andata in frantumi.
Se fatti in tribunale quei conti del dare e dell’avere saranno parecchio impegnativi, non rilevando più il tenore di vita goduto ma le occasioni di lavoro perse, il contributo dato alla progressione di carriera dell’altro, l’impegno investito nella famiglia e sottratto alla costruzione di una propria indipendenza economica, ecc. ecc.
Una ragione di più, questa, per concentrare gli sforzi nel ricercare soluzioni alternative allo scontro in tribunale, non delegando ad un giudice la decisione ma conservando il potere di decidere per trovare un buon finale alla storia comune, secondo un senso del giusto condiviso, prima di dirsi davvero addio e tornare ad essere persone singole.
Al tempo della redazione dell’articolo erano appena trascorsi due mesi dalla mia prima formazione alla Pratica Collaborativa e dalla costituzione dell’AIADC, Associazione Italiana Avvocati di Diritto Collaborativo, attraverso la quale con alcuni colleghi iniziammo a promuovere ed applicare quel metodo in Italia. Da allora abbiamo fatto tanta strada, quasi come la famiglia italiana, abbiamo anche cambiato nome e siamo diventati AIADC Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, valorizzando l’interdisciplinarità che caratterizza il nostro modo di lavorare. Non è cambiata, ma anzi si è rafforzata, la convinzione che il conflitto non è una partita che si vince o si perde ma un gioco, soprattutto relazionale, molto più complesso nel quale ci si può impegnare per un risultato assai migliore, una vittoria comune.
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