Chi ha paura della trasparenza?

Gennaio 2020

 

Ulteriori riflessioni a distanza di quattro anni.


La trasparenza, intesa come l’obbligo di condividere con l’altra parte tutte le informazioni rilevanti, ossia potenzialmente capaci di influenzare la decisione dell’altro, anche se non espressamente richieste, è uno dei principi fondamentali della Pratica Collaborativa.


Ricordo che nel 2010 questo fu un tema oggetto di vivace confronto fra quelli di noi che iniziarono a formarsi alla Pratica Collaborativa perché tale obbligo rendeva perplessi molti avvocati, per la riluttanza che s’immaginava avrebbero avuto i clienti ad accettare questa sorta di vera e propria disclosure.

Lungo la strada percorsa da allora abbiamo potuto sperimentare quale incredibile funzione positiva giochi la trasparenza consentendo alle parti non solo di raggiungere accordi coerenti alle loro effettive condizioni ma anche di ricostruire fra loro un rapporto di reciproca fiducia che spesso l’avvio del conflitto familiare ha distrutto.


A prescindere dagli effetti benefici riscontrati all’interno del “contenitore collaborativo” l’evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale relativa agli obblighi di trasparenza, lealtà processuale, verità e alla natura contrattuale degli accordi familiari mi spinge ad affermare che ormai l’obbligo di trasparenza è trasversale ad ogni opzione procedurale.

Già nel gennaio 2016 in un articolo pubblicato sul sito dell'AIADC cercai di illustrare i motivi per cui i timori legati all’obbligo della trasparenza nella Pratica Collaborativa dovessero essere ormai superati, alla luce dell’estensione di tale obbligo anche ai procedimenti “tradizionali” in materia familiare. Oggi torno sull’argomento aggiungendo ulteriori elementi a quel mio primo commento sul tema convinta, ora come allora, che della trasparenza non si debba avere paura e, ancor più, non se ne possa fare a meno.

 

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