La quarantena della giurisdizione

Aprile 2020

 

Da avvocato negoziatore e collaborativo sono abituata ad impegnarmi al massimo nel cercare fuori dal tribunale la soluzione dei conflitti familiari.

Non avrei, dunque, mai immaginato di soffrire così tanto la paralisi dell’attività giurisdizionale civile conseguente all’adozione delle misure per fronteggiare l’emergenza Covid-19.

Anche durante questo periodo, infatti, è stato possibile continuare a coltivare le negoziazioni in corso ed avviarne di nuove mediante l’uso di videoconferenze nel rispetto del distanziamento fisico.


E, allora, perché questo senso di disagio, così fortemente avvertito, per la sospensione dell’attività giurisdizionale che, anzi, potrebbe rappresentare, indirettamente, una ragione in più per orientare le persone verso quel mondo, che prediligo, dell'Alternative Dispute Resolution?


L’esperienza di questo momento mi ha rafforzato nella convinzione che per lavorare bene fuori e lontano dal tribunale, nell'ambito di quella che è stata definita giustizia complementare, è necessario avere la garanzia che l’alternativa al dialogo e al lavoro sugli interessi, propria del mondo delle ADR, sia il diritto e non la forza. Come ben sappiamo, un conflitto può risolversi secondo tre diversi criteri alternativi, la forza, il diritto o gli interessi. Se il secondo diventa inapplicabile per inaccessibilità, anche solo momentanea, di chi deve ius dicere, il rischio è di dover soccombere all’arbitrio e alla prepotenza del più forte ogni volta che non sia possibile intavolare un dialogo sugli interessi di tutte le parti in conflitto.


È per questo – credo - che collaborare non può diventare una necessità ma deve rimanere una libera scelta, effettuata nella convinzione che sia la strada più appropriata, non l’unica disponibile.


La giustizia non può e non deve fermarsi, deve funzionare bene sempre perché “Non c’è civiltà senza giustizia. .... Non c’è democrazia senza giustizia…..”, come, nell’articolo dal titolo La Giustizia in quarantena, scrive la dott.ssa Maria Giuliana Civinini che si chiede anche perché la giustizia dei tribunali, in questa occasione, non sia stata considerata fra i servizi essenziali come, invece, i tabaccai, i giornalai, le banche, le poste, i trasporti.

È, questa, una domanda indispensabile da porci che certamente merita una risposta molto più articolata di quella che può essere data in questo contesto.

Personalmente credo che sia invalsa nell’immaginario collettivo l’abitudine ad una tale disfunzione della giustizia italiana, non solo civile, in termini di lunghezza dei processi da rendere scontato ed ammissibile l’inammissibile, ossia ritenerla non essenziale.

A questo si aggiungono altri ritardi che sono quelli derivanti, ad esempio, da un processo di digitalizzazione non completato e non del tutto performante che rende certamente più lento l'adattamento alle esigenze contingenti.


In conclusione, questa emergenza ha evidenziato i nervi scoperti del sistema italiano proprio laddove una società moderna ha i pilastri fondamentali del suo funzionamento: sanità, giustizia, istruzione.

Speriamo che quanto accaduto ci induca a ricominciare nella consapevolezza dell’essenzialità di questi tre servizi.